Sono diversi anni ormai che tendo a guardare pochi trailer, cinematic o gameplay che siano, di videogiochi che prima o poi potrei affrontare, soprattutto se presenti nel backlog che sembra davvero infinito, in modo tale da avvicinarmi il più possibile a una prima e vera blind run. Così è avvenuto con Control.
La prima sorpresa mi si presenta davanti ancor prima di iniziare la storia, durante l’avvio del gioco quando vedo la scritta Remedy. Aspetta un momento, l’ho già sentito questo nome. Ci penso su un attimo e realizzo che potrebbe essere lo stesso studio dietro a Alan Wake. Verifico con una breve ricerca ed è proprio così. Ah sì, hanno fatto pure Quantum Break e un giochino chiamato Max Payne. Inizio quindi a farmi un’idea di cosa possa aspettarmi avendo già giocato il primo e ultimo titolo menzionati qui sopra.
La protagonista, Jesse Faden, guidata da Polaris, che si presenta come una voce dentro di lei, si ritrova in un edificio, chiamato Oldest House, alla ricerca del fratello Dylan rapito diversi anni prima dal Federal Bureau of Control, azienda governativa che si occupa di eventi paranormali o altered world event. Proprio durante uno di questi AWE, l’FBC e i fratelli Faden entrano in contatto la prima volta. Spinta dall’amore fraterno, Jesse inizia a esplorare il peculiare edificio che muta di continuo il suo aspetto chiudendo stanze, modificando scale e aprendo portali verso dimensioni estranee. La prima figura che incontra è l’inserviente Ahti che la guida in modo criptico verso l’ufficio del direttore. Arrivata davanti la porta, Jesse entra e trova il corpo del direttore esanime accanto a una chiazza di sangue e una pistola. Polaris la invita a raccogliere l’arma e una volta impugnata si ritrova in un’altra dimensione dove segue alla lettera le direzioni fornite da una piramide nera rovesciata che le insegna a utilizzare la pistola. Presa confidenza con l’arma, Jesse esce dalla stanza e inizia a sentirsi male. Superato il momento di debolezza con l’aiuto di Polaris, compaiono davanti a lei delle strane creature antropomorfe con fare poco amichevole. Queste le premesse e la prima fase del gioco.

Jesse dovrà nel corso del gioco districarsi attraverso l’Oldest House alla ricerca del fratello e nel mentre aiutare l’FBC a contenere ed eliminare la minaccia paranormale denominata Hiss, dal suono che la accompagna.
La storia è interessante e ben proposta. D’altro canto Remedy è famosa per aver reso la narrativa il suo cavallo di battaglia. Gli oscuri segreti che coinvolgono Dylan e l’FBC vengono rilevati attraverso cutscene e dialoghi ingame, impiegando anche strumenti quali diari, rapporti e filmati distribuiti in vari angoli più o meno nascosti della House. Questi ultimi sono utilizzati in maniera eccessiva spezzando il ritmo di gioco. Per esempio, sblocco una nuova area, la esploro con curiosità per poi interrompermi per leggere questo, un minuto dopo quello, poi 40 secondi di video su una televisione e così via.
Ci sono personaggi carismatici come Jesse, che viene influenzata più e più volte da Polaris (e non solo) rivelando una fragilità umana, e Ahti, che sembra vivere in un’altra dimensione e che avrà sempre più importanza. Ma svetta su tutti la stessa Oldest House, che è viva e fa percepire costantemente al giocatore il paranormale che caraterizza l’atmosfera del gioco. Impossibile poi non menzionare il nemico principale, Hiss, un’entità extradimensionale difficilmente descivibile che è in grado di prendere possesso degli esseri umani rendendoli di fatto degli zombi. La colonna sonora, senza infamia né lode, senza grosse sorprese, è costituita da note dai toni cupi e intriganti.

La ciliegina a rendere a rendere ancora più gustosa la torta al gusto thriller è senza ombra di dubbio la direzione artistica e la grafica, la migliore che abbia visto in prima persona in un videogioco finora. Gli effetti e i giochi di luce e ombra sono qualcosa di semplicemente sbalorditivo e aumentano in maniera esponenziale la sensazione di onirico rendendo tutto più indefinito e incerto. Il contrasto tra rosso e bianco/nero a rappresentare la dualità male e bene è presentato in maniera sublime. La quantità di dettagli è impressionante, tantissimi elementi a schermo. Una piccola, e probabilmente unica, pecca per il comparto tecnico è riscontrabile saltuariamente nelle animazioni dei volti, in particolare gli occhi danno come una sensazione di eccessiva rigidità.


Dulcis in fundo il gameplay. Essendo la prima recensione su Giocorotto sto ancora sperimentando la struttura che voglio adottare. L’idea alla base di trattare il gameplay alla fine del testo è legata al fatto che lo ritengo la caratteristica più importante di un videogioco e adottando questo approccio spero di riuscire a risaltare ciò, nonostante stia notando quanto sia difficile non toccare l’argomento in maniera esaustiva mentre si affronta gli altri punti.
Il gameplay è buono. Parliamo di un impostazione da sparatutto in terza persona. Sparare è soddisfacente e i controlli sono ottimi. L’arma principale, chiamata Service Weapon, è uno dei misteriosi Object of Power, oggetti che sono dotati di poteri paranormali. Il potere dell’arma è quello di cambiare aspetto: pistola, fucile a pompa, mitraglietta, fucile di precisione e lanciarazzi. Non sono riuscito a sbloccare quest’ultimo e ho utilizzato principalmente pistola e pompa, trovando il cecchino molto situazionale e la mitraglietta abbastanza inutile. A mettere un po’ di pepe ci sono i poteri di Jesse: telecinesi, scudo, evasione con scatto, corruzione di nemici (lottano al tuo fianco) e levitazione. Tutti molto fighi, la telecinesi anche troppo forte. Probabilmente la levitazione stona un po’ per le possibilità che fornisce: mi sembrava di impersonare Superman a volte, anche se è palese che l’idea sottostante sia quella di fornire a Jesse gli stessi poteri che affronta. Ci sono inoltre dei perk che permettono di potenziare armi e poteri, che possono essere raccolti dai nemici sconfitti e dalle lootbox sparse nella mappa. I nemici, ovvero gli esseri umani posseduti dall’Hiss, sono gestiti da una intelligenza artificiale semplice, che li rende prevedibili e facili da fronteggiare, ma questo non è un problema. C’è un minimo di backtracking, meccanica di cui non sono particolarmente fan, che invita però all’esplorazione della mappa, le cui dimensioni sono adatte alla struttura di gioco. Anche la presenza di alcune missioni secondarie aiutano questo aspetto e servono a sbloccare alcune abilità. Non le ho terminate tutte e forse allungano il tempo di gioco in maniera non ottimale.
In conclusione, Control è un action adventure con elementi TPS, presenta un ottimo shooting, punta tutto sulla narrativa e riesce nel suo intento portando a casa Remedy un buon lavoro.


